Molte coppie genitoriali, alla nascita del figlio con disabilità o laddove intervenga durante il corso della vita familiare, non riescono a rimanere coppia o ad assumere pienamente il ruolo di genitore ed optano per una separazione. Alcuni figli con specifiche disabilità (in particolare quelli con deficit intellettivo medio-grave) possono incorrere in maggiori difficoltà di adattamento, arrivando perfino a manifestare problematiche nuove, diverse o più esasperate, soprattutto nel comportamento.
Nel condividere un quadro di riorganizzazione familiare dunque, indipendentemente dal grado o dall’entità, è necessario che genitori ed esperti coinvolti nel percorso di separazione comprendano l’importanza di due principi fondamentali: quello imprescindibile di autodeterminazione della persona con disabilità e quello di integrazione degli interventi.
Il primo richiede che il progetto messo a punto corrisponda a ciò che la persona con disabilità desidera e che verosimilmente può riuscire a realizzare nel proprio contesto di vita.
Il secondo evidenzia la necessità di una cornice di continuità e integrazione degli interventi e delle potenziali soluzioni condivise, che permetta alla coppia genitoriale e ai caregiver terzi di accompagnare il figlio nel processo di consapevolezza di quanto sta avvenendo e nel fronteggiare il possibile momento di smarrimento dinanzi a nuove richieste, cambi di routine e di riferimenti affettivi.
Quadro demografico e dati statistici
Reperire dati attendibili sul numero di coppie che in Italia si separano in relazione alla condizione di disabilità di uno o più figli è estremamente difficile. Molti studi sono stati svolti in America e in Nord Europa su questo tema, ma poco rappresentano la struttura familiare italiana, con la sua complessità, ma anche le tante risorse sociali e territoriali a cui può attingere. La Regione Lombardia, da giugno 2020, ha approvato una misura interessante, che riguarda il sostegno a genitori separati o divorziati con figli, minori o disabili, attraverso la promozione di azioni di mediazione familiare quale modalità di supporto alla soluzione delle controversie che nascono nel contesto familiare a seguito di separazione/divorzio (Decreto n. 3167 del 10/03/2020).
La misura di sostegno, accessibile (purtroppo) solo ai residenti in Lombardia da almeno 5 anni, è rivolta ai coniugi con stato civile di separato, divorziato o che hanno in atto un procedimento di separazione giudiziale in corso di perfezionamento, che soddisfino il requisito della presenza di figli nati o adottati nel corso del matrimonio:
minori o maggiorenni (solo se in carico ai genitori)
con disabilità, minori o maggiorenni in carico ai genitori
Al di là di evidenti limiti di inclusione di coppie non coniugate o dello stesso sesso e della natura a sportello della misura (ovvero chi prima arriva prende il contributo), è da evidenziare la specifica sulla condizione di disabilità che la misura riporta. Segno forse che sta diventando un dato di evidenza in Lombardia, regione che potrebbe fungere da capofila per altre o per lo meno stimolare studi di settore.
Basti pensare che in Italia ci sono circa 600.000 persone con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, di cui circa 100.000 sono di età inferiore ai 18 anni. Tale disturbo permanente e spesso invasivo della persona, ha un impatto e costi considerevoli sulla persona stessa, la famiglia e la società in generale.
Diversi studi hanno sottolineato che le famiglie di bambini con autismo manifestano livelli più elevati di stress rispetto a quelle dei bambini con altri tipi di disabilità.
Inoltre in molti dei genitori insorgono disturbi psicologici caratterizzati da alti livelli di ansia e depressione. Alcune ricerche hanno rilevato anche un forte impatto in termini di onere tempo, isolamento sociale e solitudine, nonché un elevato rischio di separazione e divorzio nella coppia. Questo rischio è rilevante, ma non ancora oggetto di studio sistematico, che invece sarebbe molto utile per lavorare sulla prevenzione e sui segnali di allerta[1].
Le peculiarità di un percorso di mediazione familiare in presenza di figli disabili
Con il figlio cambiano le modalità relazionali interne alla coppia ed emerge il tema della genitorialità responsiva: attenzione e sensibilità ai segnali e ai compiti evolutivi del bambino, contenimento, rispecchiamento, sintonizzazione affettiva, scambio empatico e incoraggiamento. Temi questi che destabilizzano quando il figlio manifesta dalla nascita o nel corso degli anni difficoltà fisiche, sensoriali o intellettive.
Il mediatore familiare, che accompagna una coppia nel delicato percorso di separazione, non può non partire da queste considerazioni iniziali, dal riconoscimento dei sentimenti di confusione e disorientamento alla base della “diversa genitorialità”.
I genitori portano in mediazione questi e molti altri sentimenti: rancore, senso di colpa, autocommiserazione, inadeguatezza, misconoscimento del ruolo che rivestono.
Spesso le aspettative su di sé e sul partner, quelle sul figlio e più in generale sulla “famiglia dei sogni” hanno preso, nel corso degli anni, le sembianze delle pretese, che a loro volta si sono trasformate in delusioni, in malumori, a volte in stato di malattia.
Il figlio disabile “è figlio di chi?”, “di chi è la colpa?”, “a chi assomiglia?”, “perché è nato così?”
L’umana esigenza di attribuire “colpe” e “meriti” a tutti i costi, di delegare responsabilità, di giustificare ad un “generico mondo” o ad una non ben definita comunità le proprie fragilità, il rischio di vivere come sconfitta o come pena da espiare la diversità, conduce sempre più distanti dal cuore della separazione, ovvero la tutela del figlio disabile, minore o maggiorenne che sia, e la garanzia del miglior stato di benessere per lui possibile, anche in nuove circostanze abitative, affettive, sociali.
La coppia e le aspettative sulla genitorialità
La coppia è costituita da due individui che portano le proprie storie di vita, personali e familiari, con modalità diverse di approcciarsi alle situazioni. Insieme alle proprie storie entrambi portano aspettative sul figlio che verrà o che è appena nato[3].
In caso di disabilità, dalla nascita o sopraggiunta, il “castello delle aspettative, credenze e risposte a mandati sociali e comunitari” crolla o quantomeno vacilla, arriva quasi il timore di cogliere somiglianze, che possono sembrare responsabilità (“se mi assomiglia potrebbe sembrare che è colpa mia”), quasi ci si vergogna di ripensare a ciò che si era sperato in termini realizzativi e gratificatori per il figlio stesso, il futuro indicativo diventa timido condizionale (da “farà” a “forse potrebbe fare”) e muri di silenzi e “non detti” si ergono dentro e fuori il contesto familiare.
“Ma a chi assomiglia questo figlio? perché non riesce a capire? sarà colpa della madre quando era incinta? ed ora non potremo più andare in settimana bianca?”…sono solo alcune delle innumerevoli affermazioni più o meno espresse che investono la vita della famiglia e ricadono inevitabilmente sul figlio disabile, senza colpe e spesso senza la consapevolezza del carico emotivo che incombe su di lui.
L’accettazione della disabilità familiare e la responsabilità genitoriale
Molte coppie genitoriali rischiano di restare intrappolate nella diagnosi con l’attivazione di sensi di colpa, accuse reciproche, deleghe di responsabilità o chiusure totali che possono portare ad un blocco della crescita del sistema familiare. Prima si congela la coppia e poi la famiglia all’istante della scoperta della patologia del figlio.
Molti genitori, ad esempio, decidono di non aver più figli , rinunciando al proprio sogno di una famiglia numerosa e raccontano di vivere in una sorta di “realtà sospesa”. Per contro, nelle coppie più funzionali spesso un percorso di sostegno ed accettazione può portare a rivedere la propria progettualità dando un senso nuovo al futuro familiare, anche in vista del “dopo di noi”.
Il mediatore familiare può accompagnare la coppia genitoriale nella riflessione sui propri “compiti di sviluppo” e sostenere la consapevolezza del reciproco ruolo genitoriale anche dopo da separazione, promuovendo l’esercizio di una “permanente cura responsabile”, condivisa sul piano affettivo, organizzativo e sociale, in quanto, come già detto, molto spesso un figlio disabile avrà esigenze costanti di caregiving.
La gestione dei tempi di vita e di lavoro
La proposta della mediazione familiare rivolta ai genitori con figli disabili prende le mosse dalla convinzione che tutti i membri della famiglia possano sviluppare potenzialità individuali ed attivare le risorse necessarie a riorganizzare il quadro di vita familiare, in relazione ai tempi di vita e di lavoro dei genitori e dei figli.
Spesso il ragazzo disabile, minore e non, ha un’agenda settimanale densa di impegni, caratterizzata da scuola (massimo fino ai 25 anni di età), inserimenti lavorativi (TIS /Borsa Lavoro), terapie riabilitative (fisioterapia, psicomotricità, logopedia, musicoterapia, Pet-Therapy,…), attività sportiva, vita sociale e associativa, di norma prevalentemente gestita da uno dei due genitori, supportato da educatori o assistenti alla persona o alla comunicazione. Quando sono presenti in famiglia fratelli e sorelle “normodotati” raramente il carico di sostegno agli impegni del figlio disabile sono in carico a loro, anzi, di norma gli impegni di questi si sommano a quelli del figlio in difficoltà.
Quando la coppia genitoriale smette di coabitare e tenta di regolamentare la permanenza del figlio con disabilità ora con l’uno ora con l’altro genitore, subito emerge la considerevole difficoltà a mantenere il programma degli impegni settimanali del figlio, o quantomeno a rispettare le routine giornaliere.
Spesso il ragazzo disabile ha schemi routinari rigidi o poco flessibili (sveglia, igiene, assunzione dei pasti e dei farmaci, trasporti, …), ogni impegno esterno al domicilio richiede tempi di trasferimento, abbigliamento e cambi adeguati, kit di gestione di eventuali imprevisti, esigenza di presenza stabile del caregiver.
La condivisione delle agende di tutti i membri della famiglia, soprattutto quelle degli ex-coniugi, con gli impegni quotidiani del figlio, che con maggiori difficoltà di un figlio normodotato può spostarsi da un domicilio all’altro e che spesso non ha una capacità auto-organizzativa (non si prepara lo zaino da solo, non usa adeguatamente il telefono, non possiede sufficienti capacità di problem-solving, si irrigidisce dinanzi a cambi di routine o annullamento di attività gradite) è uno degli aspetti più importanti da tenere in considerazione in sede di separazione, a favore dello stato di benessere di tutti.
Le tappe della riorganizzazione familiare post-separazione
Nel percorso di riorganizzazione familiare si ritiene importante centrare la riflessione condivisa con il mediatore sui seguenti punti:
– I figli sono al centro del percorso di ricostruzione familiare: vi è un diritto imprescindibile all’autodeterminazione, ovvero il figlio va considerato, ascoltato, compreso, se possibile tenendo conto dei suoi desiderata e cercando di favorire le autonomie personali; non è possibile altresì non considerare il Piano Educativo Individualizzato che accompagna la sua crescita, coadiuvato dalle Unità Multidisciplinari per l’Età Evolutiva (UMEE) o Adulta (UMEA), che esplicita gli obiettivi educativi e di relazione concordati con quanti si occupano del figlio stesso. Si aggiunge la centralità del Progetto Riabilitativo Integrato, superando la logica del caregiver (di sovente la mamma) factotum, che promuove l’attenzione all’individuo nella sua globalità fisica, mentale, affettiva, comunicativa e relazionale, coinvolgendo il suo contesto familiare, sociale ed ambientale.
– Il senso di colpa rispetto alla separazione: la separazione sottintende spesso sensi di colpa e sensazioni di incapacità e fallimento, in presenza di figli disabili il sentimento di sconfitta per non “avercela fatta”, non essere riusciti non rimanere uniti nella gestione della quotidianità familiare può alimentare nel tempo fraintendimenti e risentimenti, una sorta di tira e molla tra chi si sente “più adeguato” e chi meno, tra chi ritiene di essersi impegnato di più, aver dedicato molto tempo al figlio e chi si è progressivamente svincolato, ha cercato altri affetti, non è riuscito a restare nella relazione familiare. Uscire dalla logica delle colpe e delle pene è un passaggio delicato, ma doveroso, per cominciare ad affrontare il percorso di ricostruzione con proattività.
– Fidarsi, affidarsi, delegare: tre verbi importanti su cui soffermarsi, non a caso due di questi sono riflessivi… oltre a reciproci rispetto, interesse e gratitudine (G. Salonia – 2017) è necessario ridisegnare i rapporti di fiducia tra ex-coniugi e ridefinire le cornici di affidamento e delega.
Ad esempio essere stati traditi come coniuge e considerare l’altro inaffidabile nella relazione affettiva di coppia non vuol dire che il partner che ha tradito sia necessariamente inaffidabile nell’accudimento del figlio o nel rispetto dei suoi impegni genitoriali. Spesso la paura di “fidarsi dell’altro” porta a non affidarsi, a non condividere, a non accettare sostegno, in altre parole a “trattenere tutto il carico su di sé”, allontanando ancora di più il genitore più distante, che diventa sempre più periferico. D’altro canto è possibile assistere a condizioni di completa delega, dove uno dei due genitori è minimamente informato sugli impegni del figlio, ignora la terapia farmacologica, non conosce gusti e interessi del proprio congiunto. Puntare al riequilibrio, al riconoscimento delle reciproche responsabilità e competenze è auspicabile per raggiungere accordi armonici e condivisi con il figlio stesso, laddove possibile.
– La proposta condivisa: la mediazione familiare ha l’obiettivo di valorizzare e rafforzare il ruolo genitoriale, affinché entrambi i genitori assumano il ruolo di promotori responsabili della crescita dei figli, con le loro criticità e potenzialità. In presenza di figli disabili è importante sottolineare che l’esigenza di aiuto rimarrà presumibilmente costante nel tempo (il figlio cresce anagraficamente, ma spesso restano compromesse le aree motorie, cognitive e relazionali). Inoltre, qualora fossero presenti fratelli e sorelle, questi non possono essere sovraccaricati di responsabilità ed impegni (il principio dell’autodeterminazione vale anche per loro) o sostituirsi completamente ad uno o entrambi i genitori.
Aspetti fondamentali della proposta di accordo di separazione o divorzio:
L’assegnazione del domicilio stabile dei figli: di fondamentale importanza è la verifica dell’idoneità abitativa (accessibilità, autonomie, sicurezza) del domicilio che andrà ad ospitare prevalentemente e occasionalmente il figlio disabile, proprio per garantirne le routine giornaliere e ridurre al minimo potenziali agenti fisici di disagio e frustrazione.
I turni di cura, caratterizzati da presenze dell’uno e dell’altro genitore, gestione delle terapie farmacologiche e riabilitative (psicomotricità, logopedia, fisioterapia, …), alimentazione, vestiario e ausili.
La presenza di terzi caregiver: sibling, nonni, nuovi partner, personale educativo e di assistenza che supporta la famiglia nella gestione della quotidianità del figlio disabile vanno tenuti in considerazione, se possibile valorizzati e di certo coordinati con genitori e figli. A volte la condivisione di strumenti operativi semplici e pratici (quaderno delle consegne, diario di bordo, cartelle drive condivise, agenda elettronica, …) possono essere di aiuto nel coordinare le figure che ruotano intorno al disabile, favorendo una certa armonia di passaggi e narrazioni atti a favorire il permanere di uno stato di benessere di tutte le famiglie coinvolte.
Le reti sociali: altra risorsa importante sono le realtà educative, sportive e sociali frequentate o a sostegno dei figli e della coppia genitoriale, che vanno reciprocamente conosciute e sensibilizzate a sostenere il nuovo assetto familiare.
La gestione del denaro e dei beni (pensione e sussidi, eredità, procure, interdizione e amministrazione di sostegno): in una separazione in cui è coinvolto un figlio disabile occorrono particolari attenzioni per la tutela economico-patrimoniale di questo. La prima considerazione da condividere con la coppia, qualora non ne fosse pienamente consapevole, è che al figlio disabile maggiorenne si applicano, per la tutela economica, le norme previste per i figli minori. Questo aspetto è molto importante, perché nessuno dei due genitore può sentirsi esonerato dalla co-gestione degli aspetti economici riguardanti il figlio (redditi da pensione o da lavoro, sussidi, beni intestati ed eredità), né può essere escluso dall’altro ex-coniuge, perché arbitrariamente considerato “incapace” o “inadatto” a detta gestione. Gli aspetti economici e di tutela legale del figlio vanno certamente trattati nelle sedi idonee, ma con il mediatore familiare può essere utile focalizzarsi sul tema, chiarire i termini in questione, proprio per affrontare gli aspetti sopracitati in sede legale con maggior consapevolezza.
Il “dopo di noi” (il collocamento e la garanzia di condizioni di benessere del disabile in assenza dei caregiver familiari): questo tema è estremamente delicato perché pone entrambi i genitori dinanzi alla riflessione sulla vita dei figlio disabile quando non ci saranno più loro ad occuparsene. Tale pensiero angoscia solitamente gran parte le coppie genitoriali, anche se unite, a maggior ragione quindi preoccupa chi pensa di invecchiare solo o non vuole gravare su nuovi partner, figli o altri parenti. La legge n. 112 del 2016 per la prima volta utilizza l’espressione “dopo di noi” e all’articolo 5 illustra le opzioni possibili, finanziabili con appositi fondi economici, caratterizzate da soluzioni alloggiative protette o in co-housing, percorsi di sgancio dalla famiglia d’origine e programmi di sviluppo delle autonomie ed inserimento socio-lavorativo dei disabili. In un percorso di mediazione familiare potrebbe non essere opportuno o necessario trattare questo tema, come quello economico del resto, magari perché i genitori sono molto giovani o la disabilità del figlio non preclude una gestione autonoma della quotidianità o vi sono molte risorse familiari a cui far riferimento, ma è opportuno tenerne a mente l’importanza in termini valoriali ed attuativi, spesso lunghi e complessi, così come le disposizioni in termini di eventuale interdizione ed amministrazione di sostegno.
Conclusioni
Sottolineo la potenziale efficacia di una co-mediazione in caso di separazione con figli disabili, perché in tali circostanze è davvero importante, a mio avviso, la complementarietà delle competenze socio-psico-pedagogiche e giuridiche, per sostenere ed accompagnare gli ex-coniugi nel percorso di serena ridefinizione dei tempi e spazi di vita di tutti i membri della famiglia.
Autrice: Monia Sabbatini (Counsellor e Mediatrice familiare).
(tratto da: FIGLI DI CHI. Il percorso di mediazione familiare in presenza di figli disabili. Tesi Master Mediazione familiare e gestione dei conflitti, 2023)
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